Multiverso

Non conoscevo Vincenzo, ora lo chiamo così, ma ho colmato recentemente  questa lacuna.
Un passo indietro.
Se si volesse avere contezza del panorama artistico contemporaneo si rischierebbe si dovere fare uno sforzo immane, ove non impossibile,  e superfluo al contempo.
Wharola fu profetico nel ritenere  che pochi minuti di celebrità  non sarebbero  stati negati a nessuno nell’arte contemporanea.

Eppure essi non sono neanche sufficienti a ricordare il nome del “fortunato” di turno.

Ho avuto, invece, la possibilità di conoscere Vincenzo Muratore per più di 15 minuti e mi si e’ dischiuso un multiverso di immagini.
Personalità poliedrica, insofferente a saperi settoriali, Vincenzo ha inscenato il suo personale dramma attraverso  materiali eterogenei che hanno in comune la propria percezione della vita e la sua catarsi.
Laici eppur religiosi, comuni, eppur straordinari, sono le figure che V.M. mutua dall’arte sacra per sposare una religione universale senza contrapposizioni. Tutti soffrono tutti anelano, tutti si elevano, senza distinzione di sorta. Queste sembrano le 2 direzioni degli sguardi delle opere scultoree o pittoriche di V. M. uomini e donne che guardano ora verso il basso ora verso l’alto.
A ricordarci l’universale condizione umana e’ ancora una volta l’arte nella sua forma più  elevata. Quella grande che non ti aspetti da un giovane che vive in comunione con Dio ed i suoi fratelli una esperienza artistica che non fa la notizia del male ma sedimenta, una volta conosciuta, come solo il bene sa fare e rimane indelebile.
Nella storia “tout court” l’arte ha vissuto in simbiosi con gli uomini solo nei momenti più  alti ed ha sofferto nei momenti più  difficili, quelli più  creativi. In questi ultimi, come l’attuale, uomini come V.M. si sentono chiamati ad adempiere un compito che non tutti possono adempiere. La loro missione e’ fare il viaggio più  pericoloso, difficile e talora doloroso, quello verso se stessi. Conoscendosi possono conoscere gli altri.
Perdonandosi pure. Innalzandosi innanzitutto.
Un messaggio quanto mai attuale, si snoda,  senza esibizionismi, nella confessione artistica di V.M. Per la scultura le sue bellissime statue sono personaggi sofferenti,  cui e’ inciso il dolore visibile attraverso le soprattutto bellissime rugosità. Non e’ mero esercizio stilistico: lasciare incompiuto il lavoro, perché  esso e’ compiuto, come il suo significato solo attraverso le sue ferite che danno il senso ultimo e, finanche, primo all’opera d’arte.
Eguale bellezza si può  vedere nella sua pittura. I colori, spregiudicatamente timbrici, sono legati al doppio filo con l’urlo muto di dolore e speranza che trasuda dalle dita tese ad afferrare della vita, non la superficie ma, quel mistero che ne e’ il senso ultimo, cui soprattutto uomini eletti possono avvicinarsi, gli Artisti.

Quindi, altro che filosofia o astronomia,  non manca nulla, basta seguire Vincenzo Muratore  per più  di 15 minuti e ci si svelerà un “multiverso”.

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